9.3.13

Un paio di (brevi) considerazioni etimologiche - Nei Gong

Il termine Nei Gong può essere (e viene) tradotto abbastanza dignitosamente con "lavoro interno".
Eppure, un'occhiata attenta degli ideogrammi che la compongono può palesare anche qualcos'altro:

Nei rappresenta una pianta che affonda le radici nel terreno,in profondità, mentre la sua parte aerea è ancora appena accennata, un germoglio o poco più.
Indica quindi un movimento di crescita, ma nascosto, interno,che si può interpretare anche come un movimento di intro-versione, cioè di "rivolgimento dello sguardo all'interno"come si legge in diversi testi di Alchimia Interiore(Nei Dan), alla scoperta del proprio essere quel determinato uomo in un determinato momento. E, simile anche in questo all'affondare delle radici , non è immediatamente visibile, ma è fondamentale per la comprensione dell'Arte,per la stessa ragione per cui una pianta senza radici non può sopravvivere.  E' per questo che,senza una sufficiente padronanza dell'interno,non si può parlare con cognizione di causa di Arti Marziali Interne (Nei Jia Quan),perché se ne tradiscono tanto l'essenza quanto gli stessi meccanismi che ne regolano il funzionamento.Il muovere"fiorito"delle mani e delle gambe o lo sbatacchiare vistosamente il corpo come fanno in tanti è proprio come il germoglio di prima: insignificante. E inutile, almeno dal punto di vista delle Arti interne,perchè senza radici.

Gong indica, invece, un uomo che lavora la terra spingendo un aratro. Si tratta,certo, dell'ennesimo richiamo al carattere eminentemente agricolo della civiltà cinese e,di conseguenza, della sua forma mentis, ma è anche una ben precisa indicazione sulla natura della pratica cui ci dedichiamo. Pratica che deve essere come quella del contadino il quale, forte dell'esperienza di chi lo ha preceduto e della propria,vissuta vicinanza alla terra, sa cogliere i segni del cielo e del suolo, ed è capace di adattarsi al Ritmo che li regola.Una pratica, quindi, viva, lontana anni luce da metodiche da laboratorio,cucite addosso a corpi reificati, percepiti quasi più come cadaveri o manichini che non come esseri viventi in un preciso momento spaziale e temporale.

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